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Collisions PJ

 

Negli acceleratori di particelle, elettroni, protoni, deutoni e ioni pesanti vengono spinti ad alte velocità fino a raggiungere energie sufficienti per studiare le loro interazioni con la materia.

Il Large Hadron Collider, il più grande acceleratore di particelle del mondo, situato al confine fra Svizzera e Francia, offre ogni giorno agli scienziati che vi lavorano l'occasione di svelare qualche nuovo dettaglio del mondo in cui viviamo... a partire dalla materia più minuscola che si possa concepire e dalla sua reazione alle collisioni di cui sopra.

Cosa siamo, noi, se non materia meno minuscola (soprattutto rispetto all'enormità del cosmo) in continua collisione?

 

Questo che vi andiamo a presentare è un progetto collaterale e quasi parallelo all'idea di Collisioni.

La Collisione scatenante è sempre la medesima - l'impatto della pandemia di COVID-19 - e stavolta si situa nel momento in cui molti dei paesi europei iniziavano a pensare alla riapertura economica sui loro territori.

Possiamo dire che nasce innanzitutto da un sintomo di curiosità, giacchè quando è nata l'idea  eravamo ancora isolati in quarantena e sentivamo il bisogno di conoscere i pensieri e le emozioni dei nostri familiari, amici, conoscenti, e per estensione i contatti dei nostri contatti.

In secondo luogo, il progetto nasce dall'ossessione che ha uno di noi due per il collezionismo delle immagini (sia video che foto), per l'accumulazione compulsiva, talvolta per la catalogazione di esse.

E crediamo sia lampante che tutto questo abbia origine anche dalla volontà di voler ricordare, e perciò di non dimenticare.

 

Se l'idea di Collisioni parte dall'accostamento, qui tutto inizia da un'immagine che le persone coinvolte erano invitate a scegliere e condividere con noi - e ovviamente in un futuro con il resto di fruitori -; ma questo non ci bastava, volevamo anche un racconto scritto, e il modo migliore per fare questo in un momento d'isolamento ci è sembrato preparare un questionario, con delle domande che non fossero troppe né troppo specifiche, e che non fossero troppo tecniche, perché il nostro fine era arrivare al più ampio spettro di persone possibili, che magari fossero anche in luoghi lontani da noi, o che parlassero altre lingue. Ecco perché sin dall'inizio abbiamo pensato a questo progetto in più versioni (una in italiano, una in spagnolo, una in inglese). Abbiamo fatto sì che le domande fossero per così dire "aperte", lasciando sottintendere che fosse il racconto ciò che veramente ci interessava.

A tutti i partecipanti abbiamo fatto delle domande di carattere personale, come nome, età, luogo di nascita, ecc., perché dare un nome è già riconoscere l'unicità di qualcuno, e sapere che età ha, dov'è nato, e che lavoro fa ci dava l'opportunità di dare forma ai protagonisti di un grande racconto: l'arte si può dire importante perché se da un lato si parla sempre in qualche forma di sé stessi, allo stesso tempo ogni persona che ne è testimone può dire "sono io, è la mia storia", e sentirsi più vicina ad essa.

Abbiamo quindi formulato delle domande alle quali tutti potessero dare una possibile risposta, o negarla, od opporsi, oppure interpretarla come meglio credessero, ma invitando sempre a raccontarci i loro "perché". Tutto questo perché riteniamo che quando si è artisti la sola cosa che si possa fare è lavorare in uno spazio comune, in uno spazio che può più o meno appartenere a tutti.

Proprio per questo fin dall'inizio abbiamo cercato di "passare il messaggio" che questo fosse come un'enorme puzzle da costruire, come una storia della quale anche noi stessi ignoravamo la grandezza e la forma.

 

Dopo la prima fase, ossia quella in cui abbiamo steso queste domande, inerenti a un'esperienza collettiva quale la quarantena e i suoi possibili effetti, abbiamo ritenuto che non dovessimo dare troppe spiegazioni alle persone coinvolte, per evitare di "recintare" i loro pensieri.

Infatti una volta ultimato il questionario, il nostro seguente passo è stato scrivere un breve testo che cercasse di coinvolgere i partecipanti, in cui rimarcavamo due cose: la prima, che questo progetto non prevedeva giudizi e che erano tutti liberi di dire la loro senza censurarsi. La seconda, che l'immagine scelta doveva essere rappresentativa di questo momento storico.

Infine abbiamo spedito il tutto tramite mail.

Da quel momento abbiamo aspettato, fino a che non sono iniziate ad arrivare le prime risposte.

 

E' seguita una seconda fase, che ha previsto la traduzione dei testi nelle altre lingue che ci eravamo prefissati, e la costruzione dell'opera in sé, ovvero la realizzazione del sito web che avrebbe contenuto questa storia.

 

Ci piace pensare che ciò che ci ha portato a creare quest'opera siano state delle domande: cosa pensano gli altri e come staranno vivendo tutto questo? Ma soprattutto saremo capaci di dimenticare anche questo?

D'altronde l'Arte è sempre una domanda, e quest'opera non è perfetta e non è conclusa.

Mentre molti guardavano fuori, attraverso le finestre, attraverso la televisione, attraverso internet, posto che tutti eravamo isolati, noi invece eravamo interessati a guardare dentro, a conoscere ciò che gli altri stavano vivendo. Se questo fosse un dipinto, assomiglierebbe a Night Windows di Edward Hopper, con quell'aria sospesa, e quello sguardo distante che scruta attraverso delle finestre; è per questo quindi che ci piace immaginare che le immagini richieste ai partecipanti siano in verità le finestre di un grande palazzo illuminate dalle loro impressioni, dalle loro storie, e in cui noi guardiamo.

 

Per rappresentare tutto questo abbiamo scelto il medium dell'archivio. Nel nostro mondo, di sovrapproduzioni d'immagini e non solo, l'archivio è ormai diventata una pratica artistico-culturale legata sicuramente alla memoria, o alla perdita di essa. Una pratica volta a rivalutare le tracce del nostro passato, per riattivare processi e tematiche legate più all'arte che alle istituzioni del potere definite per l'appunto come archivi.

 

"Noi stessi siamo un puzzle di morti. Tu hai gli occhi di un trisavolo che non hai conosciuto o che non ha più neanche un nome, hai la bocca di una prozia che tutti hanno dimenticato.. Siamo fatti di tutti i morti che stanno dietro di noi e che abbiamo dimenticato"

Christian Boltanski

 

Queste sono le parole di uno dei più grandi artisti viventi che spesso usa l'archivio come mezzo per le sue opere. L'archivio dunque è per noi la forma giusta per riuscire a includere questioni sociali, psicologiche, e identitarie, che sicuramente producono e produrranno nuove narrazioni e di conseguenza una maggiore comprensione del nostro presente e futuro.

E dato che eravamo in quarantena mentre tutto questo già prendeva forma, ci è sembrato quasi naturale che il canale giusto per la creazione di quest'opera fosse internet, accessibile a chiunque e da dovunque.

 

Vi invitiamo dunque ad entrare nella storia.

Se vuoi partecipare al progetto, scrivici a a.amado@outlook.it richiedendoci il questionario.

If you want to join our project, write to a.amado@outlook.it asking for our form.

Si quieres participar a nuestro proyecto, escribenos a a.amado@outlook.it preguntandonos por el cuestionario.

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