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Félix González-Torres, Untitled, 1991

Eco di Bergamo, pagine di necrologi, 2020

Necrologi.

In principio era il verbo... no, in principio era l'immagine - parafrasando il titolo di un'opera di un grande (ig)noto dell'Arte contemporanea, Gino De Dominicis - ; mi torna alla mente un autore come pochi, Felix Gonzalez Torres, cubano, uomo, gay, Artista.

L'opera da cui questa volta scaturisce la mia riflessione sono i famosi Billboards, cartelloni, raffiguranti un letto disfatto, con una presente assenza che possiamo decifrare dalle sagome sulle lenzuola, come se fino a poco prima dello scatto della fotografia ci fossero stati due corpi a giacere lì, uno di fianco all'altro. Quest'opera è il racconto in immagine di una perdita per l'autore, quella del suo amante, Ross Laycock, morto di AIDS nel 1991, dopo 8 anni di vita assieme.

Come ben scrive Alan Pauls[1], critico letterario e giornalista, Gonzalez Torres sa che la critica è una questione di distanza, e che per quest'ultimo distanziare è un gesto che opera nel tempo e nello spazio. Il teatro epico di Brecht e la discontinuità fatta cinema tipica di Godard sono tra le influenze che più lo hanno segnato.

Sempre Pauls chiarisce che la distanza è l'antidoto contro l'aderenza, e la critica contro l'adesione.

Ecco dunque che, in solo poche righe, abbiamo delineato il carattere di un artista consapevole: tutta l'opera di Gonzalez Torres può essere letta come l'opera di un artista che ha trovato il modo di partire dall'intimo per, da una parte, criticare il difficile contesto politico e sociale, in quanto uomo e gay, nel momento storico in cui ha vissuto, ovvero gli Stati Uniti a cavallo tra anni Ottanta e Novanta.

Dall'altro lato Gonzalez Torres non ha mai perso la poesia, il sentimento: l'assenza dei corpi riflette il dolore per la perdita ma è anche una critica socio-politica per l'ambiente dell'epoca... nascondere un corpo omosessuale morto di AIDS, non nasconde la verità.

Come suggerisce Sonia Becce[2], autrice del libro: "Feliz Gonzalez Torres: somewhere, nowhere", i cartelli di Gonzalez Torres attuano per delay, sono una sorta d'interruzione silenziosa nel fluire del tempo, c'è una tale sottigliezza usata come arma di espressione, un'arma netta e forte. Le opere di Gonzalez Torres arrivano direttamente ai nostri sentimenti.

Solo ora mentre scrivo, e dunque penso, mi rendo conto che a suo modo Gonzalez Torres ha aggiunto qualcosa al discorso di Duchamp: se per quest'ultimo l'opera prendeva senso grazie allo spettatore, Gonzalez Torres va oltre suggerendoci che non è più importante il senso, ma l'uso. Dunque se ripensiamo non solo a quest'opera ma all'intero suo percorso ci rendiamo conto che il senso è l'uso.

Come diceva lo stesso Gonzalez Torres in quegli anni: ".. non si trattava solamente di usare le idee di W. Benjamin scaturite da L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica a proposito della distruzione dell'aura dell'opera d'arte. Ma era anche ad un livello più personale, imparare a lasciare andare. Pensai a quella frase di Freud: 'Ci prepariamo per le nostre paure più grandi con il fine d'indebolirle'. Io stavo perdendo Ross, in questo modo decisi di perdere tutto per poter affrontare quella paura, e chissà magari imparare qualcosa da essa. Così decisi di perdere anche l'opera, quella cosa così importante nella mia vita. Volevo imparare a lasciare andare"[3]. Basti pensare alle famose caramelle di Gonzalez Torres in cui l'opera stessa veniva esaurita.

Così l'artista perde il suo amato, e grazie ad un'immagine così intima come quella del proprio letto, spinge sé stesso a lasciare andare il ricordo, a sublimare il dolore - e tutto questo, aggiungo io, riesce a farlo con grande forma estetica e forte sentimento - .

Durante un'intervista l'artista disse: "Quando la gente mi chiede, chi è il tuo pubblico? Io rispondo immediatamente: il mio pubblico era Ross. Il resto delle persone sfiorano a malapena la mia opera"[4].

 

Questi sono giorni di forti immagini: un'altra di quelle che non dimenticherò mai, è l'insieme delle numerose pagine di necrologi de L'eco di Bergamo, che come ha titolato il Washington Post: "Worse than a war", peggio di una guerra[5].

Il contagio vieta la vicinanza, ed ecco quindi che uno dei pochi rituali rimasti per poter salutare chi se n'è andato rimane il necrologio, il privato che diventa pubblico, la presente assenza, poche righe, magari una foto.

Quelle vite che tratteniamo nella memoria.. chi sa sente maggiormente il dolore, la perdita, chi non sa non può che rimanere comunque commosso.

Mi torna in mente quello che è un gigante per me, Leopardi, che diceva:

"Hanno questo di proprio le opere di genio, che quando anche rappresentino al vivo la nullità delle cose, quando anche dimostrino evidentemente e facciano sentire l'inevitabile infelicità della vita, quando anche esprimano le più terribili disperazioni, tuttavia ad un'anima grande che si trovi anche in uno stato di estremo abbattimento, disinganno, nullità, noia e scoraggiamento della vita, o nelle più acerbe e mortifere disgrazie (sia che appartengano alle alte e forti passioni, sia a qualunque altra cosa); servono sempre di consolazione, riaccendono l'entusiasmo, e non trattando né rappresentando altro che la morte, le rendono, almeno momentaneamente, quella vita che aveva perduta"[6].

In fondo le opere di Gonzalez Torres non sono che questo, degli indimenticabili messaggi d'amore, degli incantevoli necrologi.

 

 

 

 

 

 

[1] Frammenti tratti da Souvenir, testo contenuto nel catalogo della mostra Algún lugar/ningún lugar tenutasi al Malba di Buenos Aires nel 2008 curata da Sonia Becce, gli estratti si possono consultare su: https://www.pagina12.com.ar/diario/suplementos/radar/9-4798-2008-08-31.html

[2] Articolo consultato sul sito Pandorama, relativa sempre alla mostra tenutasi al Malba, consultabile su: https://pandorama-art.blogspot.com/2008/09/flix-gonzlez-torres-somewhere-nowhere.html

[3] Frammenti tratti da Souvenir, testo contenuto nel catalogo della mostra Algún lugar/ningún lugar tenutasi al Malba di Buenos Aires nel 2008 curata da Sonia Becce, gli estratti si possono consultare su: https://www.pagina12.com.ar/diario/suplementos/radar/9-4798-2008-08-31.htm

[4] Citazione tratta da un articolo pubblicato su Proyectos, La poetica de la intimidad, consultabile su: https://monikardila.wordpress.com/2009/04/15/la-poetica-de-la-intimidad/

[5] Articolo su Varesenoi.it, «Worse than a war» (Peggio di una guerra): sul Washington Post le undici pagine di necrologi di Bergamo. «Quelle vite che tratteniamo nella memoria», consultabile su: https://www.varesenoi.it/2020/03/18/leggi-notizia/argomenti/attualita-17/articolo/worse-than-a-war-peggio-di-una-guerra-sul-washington-post-le-undici-pagine-di-necrologi-di-be.html

[6] Giacomo Leopardi, Canti - Operette morali - Memorie e pensieri d'amore, Roma, Gruppo Editoriale L'Espresso, pag. 7

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